venerdì 6 luglio 2012

L'opera di restauro: quali significati


Spesso mi chiedo in che cosa consiste il lavoro del restauratore, non credo di essere riuscita a darmi una risposta.
L'occasione è stata ulteriormente sollecitata dalla lettura dell'articolo intitolato A Sud del restauro apparso su “Il Giornale dell'Arte”, novembre 2011, alla firma di Giorgio Bonsanti e nel quale l'autore scrive del Gruppo Italiano dell'International Institute of Conservation, definendolo come “una libera associazione di restauratori fondata in Inghilterra negli anni Cinquanta, ove per restauratori si intenda tutti coloro che in un modo o in un altro sono interessati o coinvolti nel restauro e lo frequentano professionalmente”.
L'articolo poi parla del convegno organizzato, ma solo l'ultima parte di questa frase mi ha colpito, cioè come l'autore descrive chi si intende per restauratori, cioè tutti coloro che in un modo o in un altro sono interessati o coinvolti nel restauro e lo frequentano professionalmente.e riflettendo su questa frase che mi sono posta le domande che seguono.
Come si può definire il mestiere del restauratore: è il tecnico oppure possiamo comprendere anche una figura professionale composita, ad esempio chi si pone marginalmente alla pratica, ma che investe di più nella ricerca e se colui non fosse considerato tale, allora, come si può chiamare? Esiste un ruolo del restauratore al di fuori del cantiere? In che cosa può essere tradotta l'esperienza acquisita dalla pratica? La figura del “ricercatore”, così come affrettatamente lo definisco in questo contesto, è' un ruolo spendibile per la conservazione, oppure il meglio della conservazione si fa praticandola? Quali sono le azioni che si possono compiere al di fuori della pratica del restauro?
Quanto può essere attuale il dibatto sulla creazione di un albo professionale e delle modalità che si dovrebbero seguire per la selezioni di quanti chiedono l'iscrizione? Forse lo è molto poco, se la politica economica nazionale tende sempre più alle liberalizzazioni degli ordini professionali. Forse non ci vogliamo accorgere che in realtà già la figura del restauratore spesso vira, soprattutto quando si affronta la conservazione dei beni immobili, verso l'attività più propriamente edile (e perchè non potrebbero essere i muratori che si occupano del restauro architettonico, se opportunamente formati?) mentre dalla parte dei beni mobili, dipinti e sculture per intenderci, si tende a limitare gli interventi sulle opere sottoposte ad intervento.
Non è, forse, che questo atteggiamento difensivo nasconda una malcelata paura di veder sminuito il ruolo del restauratore nella filiera della storia dell'arte, della conservazione e del restauro delle opere d'arte, che da un lato può essere sostituito da un edile e dall'altro da un chimico?
L'articolo di Bonsanti parla di una associazione che ha una sede in Italia, ma d'ispirazione anglosassone, come il luogo della sua fondazione.
E in Italia quali e quante sono le associazioni che si occupano di conservazione dei beni culturali? Quale può essere il ruolo dell'associazionismo in tutto questo e mi chiedo se potrebbe esistere un coordinamento fra quanti si occupano o si interessano al restauro e non solo chi lo pratica....
Sarà che la mia vicenda professionale mi ha costretto in qualche modo a riflettere su questi argomenti. Non ultimo la decisione presa qualche anno fa di creare un'associazione che si occupa proprio di tutela e conservazione dei beni culturali. Mi piacerebbe avviare un dibattito su queste domande che da ora vorrei condividere con quanti avvertono quasi il limite di un lavoro, quello di restaurare, che credo sarebbe necessario circoscrivere allo stretto necessario riservando all'opera di conservazione, tutela e valorizzazione gli sforzi maggiori.


Roberta Zucchini Bologna, 10 febbraio 2012

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Patrimonio culturale


Patrimonio culturale - Cultural Heritage: qualche riflessione sul significato
Anche quando non si tiene più alle cose, non è affatto indifferente averci tenuto, perchè era sempre per qualche ragione che sfuggiva agli altri...Ebbene! Adesso che sono un po' troppo stanco per vivere con gli altri, quei vecchi sentimenti così personali, così miei, mi sembrano - è la mania di tutti i collezionisti – estremamente preziosi.
Schiudo a me stesso il mio cuore come una sorta di bacheca, mi guardo uno per uno tanti amori di cui gli altri non sapranno mai nulla. E di questa collezione, alla quale, adesso, sono ancora più attaccato che alle altre, mi dico – un po' come Mazarino dei suoi libri, ma, ma del resto senza alcuna angoscia – che sarà parecchio seccante doverla lasciare.di cui
Charles Swann
Marcel Proust, Sodoma e Gomorra
(Edmund de Waal, Un'eredità di avorio e ambra,Torino, Bollati Boringhieri, 2011)

Quest'anno a seguito dell'alluvione delle Cinque Terre, in Liguria, si è ricordato, per similitudine di disgrazia, l'evento altrettanto catastrofico che colpì Firenze il 4 novembre del 1966.
Avevo dieci anni e fu per la prima volta che sentì parlare di opere d'arte e di opere che rischiavano o erano state distrutte dall'effetto devastante di acqua e fango. Con gli anni compresi il valore, non solo venale, di quegli oggetti e che proprio in occasione di simili eventi dimostrano la loro fragilità, unicità e non riproducibilità: l'Arte è composta da cose preziose e che come tali, cose e preziose, vanno difese e curate.
La loro distruzione ci appare quindi inevitabile nei casi di eventi bellici, disastri ambientali, dove poi di cause naturali c'è ben poco mentre è sempre maggiore la reponsabilità umana, e di guerre civili, come quelle avvenute di recente nel Maghreb, Tunisia e Libia, è notizia delle ultime ore, di nuovo in Egitto, e in Siria.
E' fondamentale premettere che abbiamo il dovere di ritenere prioritaria la salvaguardia della vita di ogni essere vivente coinvolto in eventi di crisi e che le popolazioni restano, in queste circonstanze, le principali vittime, ma è pur altrettanto vero che l'identità di un popolo, di cui l'Arte è un' espressione, che ne racconta la tradizione, la cultura, in altre parole che racconta le nostre vite, è un valore ed è necessaria al fine della ricostruzione, tanto urbanistica quanto economica, di una società.
Per questa ragione credo si possa affermare, senza temere di apparire blasfemi nè cinici, che la salvaguardia del patrimonio artistico-culturale, presente sotto ogni latitudine e al quale ognuno di noi appartiene seppur nella diversità, è sempre un diritto.
Ne “Il Giornale dell'Arte” di qualche mese fa (articolo del settembre 2011, p. 15, di Stefano Luppi) a proposito della guerra civile scoppiata in Libia leggo che “[...]. Alcune delle milizie fedeli al rais, […], si sarebbero asserragliate per alcuni giorni fra le rovine fenicie, greche e romane di Sabratha, città antica patrimonio dell'Unesco dal 1982, 70 chilometri a Ovest di Tripoli. Pericolo quindi per i preziosi reperti, […]” Siti archeologici ritenuti sicuri dai lealisti di Gheddafi che li occupavano perchè certi che gli aerei NATO non avrebbero avuto il coraggio di bombardare.....ormai è lontano il ricordo delle bombe americane che, in Italia, rasero al suolo l'abazia di Montecassino, nel febbraio 1944, lanciandogli addosso 576 tonnellate di bombe... ma questa è un'altra Storia!

Roberta Zucchini Bologna, 21 novembre 2011 

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