Spesso
mi chiedo in che cosa consiste il lavoro del restauratore, non credo
di essere riuscita a darmi una risposta.
L'occasione
è stata ulteriormente sollecitata dalla lettura dell'articolo
intitolato A Sud del restauro
apparso su “Il Giornale dell'Arte”, novembre 2011, alla firma di
Giorgio Bonsanti e nel quale l'autore scrive del Gruppo Italiano
dell'International Institute of Conservation, definendolo come “una
libera associazione di restauratori fondata in Inghilterra negli anni
Cinquanta, ove per restauratori si intenda tutti coloro che in un
modo o in un altro sono interessati o coinvolti nel restauro e lo
frequentano professionalmente”.
L'articolo
poi parla del convegno organizzato, ma solo l'ultima parte di questa
frase mi ha colpito, cioè come l'autore descrive chi si intende per
restauratori, cioè tutti coloro che in un modo o in un altro
sono interessati o coinvolti nel restauro e lo frequentano
professionalmente.e riflettendo su questa frase che mi sono posta
le domande che seguono.
Come
si può definire il mestiere del restauratore: è il tecnico oppure
possiamo comprendere anche una figura professionale composita, ad
esempio chi si pone marginalmente alla pratica, ma che investe di più
nella ricerca e se colui non fosse considerato tale, allora, come si
può chiamare? Esiste un ruolo del restauratore al di fuori del
cantiere? In che cosa può essere tradotta l'esperienza acquisita
dalla pratica? La figura del “ricercatore”, così come
affrettatamente lo definisco in questo contesto, è' un ruolo
spendibile per la conservazione, oppure il meglio della conservazione
si fa praticandola? Quali sono le azioni che si possono compiere al
di fuori della pratica del restauro?
Quanto
può essere attuale il dibatto sulla creazione di un albo
professionale e delle modalità che si dovrebbero seguire per la
selezioni di quanti chiedono l'iscrizione? Forse lo è molto poco, se
la politica economica nazionale tende sempre più alle
liberalizzazioni degli ordini professionali. Forse non ci vogliamo
accorgere che in realtà già la figura del restauratore spesso vira,
soprattutto quando si affronta la conservazione dei beni immobili,
verso l'attività più propriamente edile (e perchè non potrebbero
essere i muratori che si occupano del restauro architettonico, se
opportunamente formati?) mentre dalla parte dei beni mobili, dipinti
e sculture per intenderci, si tende a limitare gli interventi sulle
opere sottoposte ad intervento.
Non
è, forse, che questo atteggiamento difensivo nasconda una malcelata
paura di veder sminuito il ruolo del restauratore nella filiera della
storia dell'arte, della conservazione e del restauro delle opere
d'arte, che da un lato può essere sostituito da un edile e
dall'altro da un chimico?
L'articolo
di Bonsanti parla di una associazione che ha una sede in Italia, ma
d'ispirazione anglosassone, come il luogo della sua fondazione.
E
in Italia quali e quante sono le associazioni che si occupano di
conservazione dei beni culturali? Quale può essere il ruolo
dell'associazionismo in tutto questo e mi chiedo se potrebbe esistere
un coordinamento fra quanti si occupano o si interessano al restauro
e non solo chi lo pratica....
Sarà
che la mia vicenda professionale mi ha costretto in qualche modo a
riflettere su questi argomenti. Non ultimo la decisione presa qualche
anno fa di creare un'associazione che si occupa proprio di tutela e
conservazione dei beni culturali. Mi piacerebbe avviare un dibattito
su queste domande che da ora vorrei condividere con quanti avvertono
quasi il limite di un lavoro, quello di restaurare, che credo sarebbe
necessario circoscrivere allo stretto necessario riservando all'opera
di conservazione, tutela e valorizzazione gli sforzi maggiori.
Roberta
Zucchini Bologna, 10 febbraio 2012
E' consentito riprodurre parzialmente o integralmente i nostri articoli su altri siti on line purchè si citi l'autore e il nostro sito, non è, inoltre, consentito l'utilizzo degli elaborati da parte di terzi per fini commerciali
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